Veduta
di Castellonorato.
Situato
su una collina, in posizione dominante sul Golfo di Gaeta, Castellonorato
prosegue la serie di insediamenti ininterrotti lungo la fascia
pedemontana tra Gaeta ed il Garigliano. Tra i Formiami colles
Onorato I Caetani, conte di Fondi, nell'ultimo quarto del secolo
XIV aveva stabilito una rete di fortificazioni su preesistenti
strutture: Castellone, Maranola, Castellonorato. Queste si univano
alle turrite Fondi, Itri, Mola Traetto. Tutte si inquadravano
nel dominio dei Caetani, intenti ad assicurarsi l'antico Formianum
(da Canneto presso il limite di Terracina al Garigliano) e tessendo
nella terra aurunca un sistema integrato di rocche e città
fortificate.
L'intensa attività edificatoria militare del conte fondano
lasciò ampia traccia a Castellonorato, il cui nome (Castrum
Honorati) sembra derivare dall'illustre personaggio, che tanta
incidenza ebbe nel travagliato periodo dello Scisma d'Occidente.
Il conte, di indole guerriera, aveva intuito la validità
delle nuove strategie di combattimento proponendo quelle innovazioni
per le cinte murarie, che anticipavano alcune modalità
della guerra moderna.
Castellonorato diveniva così baluardo a guardia della piana
dell'Ausente con perfetta visione del limes laziale-campano e
del mare, ma anche sentinella collinare integrata con le torri
formiane di Maranola, Mola e Castellone.
Tuttavia questo sistema coabitava con il più antico polo
di controllo del territorio creato dal cenobio benedettino cassinese
attraverso l'acquisizione della ex cattedrale di S. Erasmo, a
guardia della via fluviale commerciale del Liri-Garigliano con
il relativo sbocco a mare.
Ma la nascita del borgo turrito non equivaleva ad autonomia. Occorreva
comunque attendere il 1428 perché Castellonorato potesse
raggiungere anche l'indipendenza amministrativa, staccandosi dalla
Universitas di Maranola della quale era semplice terra.
La descrizione del borgo fortificato di Castellonorato è
stata illustrata nell'articolo "Castellonorato e la sua storia",
pubblicato nel numero speciale della rivista Latina Gens dedicato
a Formia.La roccia su cui è stata costruita la cinta ha
una fisionomia lunga e stretta, tanto da assumere la singolare
sembianza di una nave. Due le porte di accesso agli estremi: una
sita a mezzogiorno raggiungibile tramite una ripida gradinata
con copertura ad archi e volte, denominata "capo la porta";
la seconda collocata ad oriente sul punto eminente della rocca,
nella zona meno fortificata, chiamata "capo la terra".
Il nucleo abitato veniva tagliato da una sola strada che lo attraversava
per l'intera lunghezza. La rete viaria è determinata dal
sistema dei vicoli; alcuni ciechi rimandano per analogia al borgo
di Castellone.
L'anonimo articolista (che dovrebbe però essere A. De Santis)
poneva la rocca proprio sulla prua dell'immaginifica nave, in
particolare posizionata sul lato orientale. Della rocca è
rimasta soltanto la torre centrale tondeggiante, la cui tecnica
costruttiva appare simile a quelle di Castellone e Maranola. Della
originaria struttura fortificata di Castellonorato, di quel progetto
trecentesco del Caetani oggi rimangono poche vestigia significative.
Nella storia del territorio e nel successivo sviluppo urbanistico
dei castri arroccati l'opera di Onorato I e dei suoi discendenti
lasciò una tale impronta che i successori innescarono i
propri interventi nel forte solco tracciato. Di quell'ampio progetto,
però, allo stato attuale sull'intero territorio formiano
poche tracce emergono con forti discontinuità. Sarebbe
auspicabile un recupero dei tessuti urbanistici caetani con un
intervento mirato di archeologia medievale.
Tra le tracce della struttura caetanea di Castellonorato nel 1930
erano ancora percepibili oltre i due ingressi al borgo, alcuni
loggiati, due porte ad arco acuto, una nel sottopasso a "capo
la porta" e l'altra sul retro e a latere della chiesa di
S. Caterina.
Castellonorato:
Capo la Porta
Sembra che sul modello delle rocche fortificate basso medievali,
anche Castellonorato non sia stata creata ex novo ma su un preesistente
impianto abitato. Le vestigia di quell'originario insediamento
pre caetaneo sono probabilmente inserite nel sistema delle fondazioni
delle abitazioni o inglobate in edifici seriori.
Anche qui potrebbero diventare di notevole interesse per la storia
del castro eventuali recuperi da compiere in corrispondenza di
possibili siti sensibili, tenendo d'occhio il particellare del
catasto urbano.
Le vicende del nuovo borgo fortificato di Castellonorato possono
essere seguite attraverso i documenti conservati nell'Archivio
Caetani, che forniscono una serie di notizie sugli eventi bellici
dei Caetani nel loro conflitto con il Papato, poi con i Durazzeschi
insediatisi a Gaeta.
Questi interessanti sviluppi non consegnano notizie anteriori
al XIV secolo.
Bisogna scivolare all'età antica, ed in particolare alle
vicende pre romane, per cogliere altre informazioni. È
attestata un'ininterrotta sequenza di strutture in opera poligonale
in tutta la fascia pedemontana di Formia con la presenza delle
diverse tipologie costruttive. In particolare nel territorio di
Castellonorato sono state individuate, oggi ancora in situ, le
stazioni poligonali della Madonna della Palomba, Orsano, Pella
e monte Calvario nei pressi dello stadio, il tutto racchiuso nel
tratto lineare di circa un chilometro. La presenza di questi elementi
costruttivi fa propendere per l'ipotesi di un'attività
umana stanziale già prima dell'avvento dei Romani (IV secolo
a.C.).
Una continuità che gli stessi Romani hanno mantenuto, connotando
questo territorio precipuamente in senso agrario e probabilmente
consentendo la più antica attività di pascolo.
Gli insediamenti rurali del Patrimonium S. Petri si estendevano
probabilmente senza soluzione di continuità tra Formiae
e Minturnae. I casali presenti in più parti del Formianum,
spesso di difficile localizzazione, occupavano le zone più
fertili. Apparirebbe perciò evidente che la striscia di
pianura ed i terrazzamenti a metà collina alle falde di
Castellonorato non fossero privi di agricoltori associati in più
nuclei familiari con idonee strutture di abitazione e ricovero.
Questo è immaginabile fino al VI-VII secolo grazie all'opera
intrapresa da Gregorio Magno e dai suoi successori.
Gli studi compiuti non hanno posto in risalto luoghi abitati nella
zona collinare di Castellonorato tra VIII e XI secolo. Per cui
bisognerebbe indicare una frattura nella antropizzazione, ripresa
in condizioni più favorevoli, secondo i più forse
dopo la sparizione della colonia saracena insediatasi sui Formiani
colles nel IX secolo.
In realtà bisogna sottolineare quanto la mancanza di una
mappa dei siti colonici, giustificata dall'assenza di una ricerca
a monte sulla toponomastica medievale, abbia impedito quegli approfondimenti
necessari per cogliere la fisionomia "diacronica" del
territorio e dei suoi nuclei demici.
Qualche indicazione positiva viene fornita dalla lettura di alcune
pergamene del Codex Diplomaticus Cajetanus (= C.D.C.). La collazione
di queste fonti con altra documentazione superstite, può
offrire un quadro meno oscuro delle vicende alto medievali di
quella che diverrà la circoscrizione della Universitas
di Castellonorato.
Il primo documento del Codex, che riguarda siti di pertinenza
della futura universitas di Castellonorato, è stato redatto
nella fase iniziale dell'esperienza del ducato di Gaeta. Riguarda
l'atto di cessione (C.D.C., I, VIII) di alcune terre poste nella
località "Mergataro" (nel tenimento di Maranola)
da parte dei coloni della masseria di S. Erasmo ad un certo Lunisio
residente nella località Britto.
La vendita riconducibile all'anno 845 contiene le sottoscrizioni
dei coloni e la firma dell'estensore del rogito, il sacerdote
Vitale, vicedomino. A completamento dell'escatocollo seguono le
firme dei testimoni e la sottoscrizione di Costantino, vescovo
della diocesi di Formia, e di Paolo, sacerdote e scriba. Tra i
testimoni garanti dell'atto compaiono Leone, fittavolo del podere
Casatico, e Leone, fittavolo del podere Locroziano. Il rogito
ha rivestito particolare interesse per gli studiosi in quanto
contiene l'attestazione dell'esistenza di una massa denominata
"S. Erasmi" facente parte del Patrimonium S. Petri.
Ma è possibile localizzare i casali di Casatico e Locroziano,
tra i più antichi testimoniati dal Codex?
Tra i pochi documenti superstiti riguardanti Castellonorato si
conserva l'Inventario de' beni della chies'arcipresbiterale di
S. Caterina della terra di Castell'onorato nella diocesi di Gaeta
diviso in cinque parti, compilato il 20 luglio 1767 dall'arciprete
d. Francesco Pecorini, che richiama un preesistente inventario
del 1580, redatto dal notar Luzio Gesualdo su richiesta dell'arciprete
d. Giacomo Giordano.
L'inventario faceva seguito ad un precedente inventario del 1731,
alla redazione del catasto onciario del 1750 ed al libro delle
deduzioni delle messe della parrocchiale di S. Caterina del 1754.
L'inventario del 1767 manca delle pagine relative alla descrizione
dei beni posti in Casatico; tuttavia nell'indice, compilato dal
medesimo estensore dell'inventario, si attesta l'esistenza di
un terreno in Casatico, concesso in enfiteusi a Filippo ed Angelo
de Filippis.
Nell'anno 936 (C.D.C., I, XXXIX) per una lite sorta tra Pietro,
vescovo di Gaeta, e i massarini da una parte e Docibile e Giovanni,
duchi e ipati di Gaeta, dall'altra, il vescovato giurava la proprietà
dei beni diocesani posti tra i confini del ruscello, la valle
di Cerro, il casale Logrezzano, il confine di Lavino, il casale
Verriano, il casale Raminitulo, fino a capo la Corte, fino ancora
alla statua ed in linea retta fino al monte di Casatico.
Di questi confini, delineati nella carta giurata, oggi è
possibile tracciare con sicurezza i limiti essendo rimasti alcuni
toponimi inalterati nel tempo: il canale Cerro ancora oggi denomina
la zona Vadicerro (= valle di Cerro), attestato pure nel 1236
(C.D.C., II, CCCXCIV), Casatico (con il colle Incrociatora).
E Casatico si colloca tra le località Mamurrano, Ponzanello,
il monte Incrociatora e Farano.
Se il primo colono proveniva da Casatico, il secondo risiedeva
nel fondo Locroziano.
Anche di questo casale è possibile rintracciare la collocazione.
Gli Statuti di Maranola, esemplati nella seconda metà del
XVII secolo ma riferentesi ad una copia del 1532 su un originale
anteriore al 1428, contiene il toponimo Logrozano.
Come spesso accadeva si assisteva al contemporaneo uso delle dizioni
Logorzano, Trogorzano, Logrezzano.
La località Orsano si pone al di sotto del monte Sorgenza,
a lato di Vadicerro; confina con la Pella e la Palombara. Nell'inventario
del 1737 l'indice riporta il toponimo Orsano, che nel XVII secolo
veniva spesso usato con la dizione oscillante Orsano/Orzano.
Secondo il De Santis (Appunti di toponomastica della bassa valle
del Garigliano, ADSP, 1945, pp. 290, 298) il termine Orsano deriverebbe
dalla gens Lucrezia. Il gentilizio che avrebbe dato il nome alla
località si sarebbe trasformato in Locrotiano, poi in Logorzano
(per metatesi), ancora in Lograzano, poi ancora in Lo Gorzano
e per sincope in L'Orsano.
Ma l'identificazione certa del toponimo Locrotiano/ Logrezzano
con Orsano si evince proprio dal documento del 936 (C.D.C., I,
XXXIX), che segnalando i confini in sequenza colloca nei pressi
di Valle di Cerro il casale Logrezzano. Ebbene Orsano si trova
nelle immediate vicinanze di Vadicerro.
Potrebbe ancora trattarsi di Orsano quel casale Grazzano riportato
nelle pergamene dell'anno 1000 (C.D.C., I, CII) e dell'anno 1006
(C.D.C., I, CXII). Lo Grazzano per Logrezzano?
Il termine ricorre ancora nella Rubrica delle Carte appartenenti
al Monastero di S. Erasmo di Castellone di Gaeta che si conservano
nell'archivio del Monastero di Monte Oliveto di Napoli fatta nel
1784 (RdC) all'anno 1365 (RdC, 93) e nel 1402 (RdC, 111): è
un territorio con coltura ad olivo, enfiteusi concessa dal monastero
di S. Erasmo di Castellone.
Cosicché almeno due casali e relativi toponimi sono attestati
in modo continuativo tra IX e XI secolo.
Ancora negli Statuti di Maranola viene segnalata la fontana di
Logorzano. La presenza di fonti d'acqua e di fontanili assicuravano
l'esistenza di nuclei abitati e di allevamenti.
Le località Casatico ed Orsano vennero così abitate
in modo continuativo tra IX e XV secolo.
L'interesse della diocesi di Gaeta per questi territori veniva
determinato dagli oliveti e dalle zone boschive. La mensa vescovile
traeva ampio reddito dalla coltivazione dell'ulivo in una zona
non distante dal mare pur tuttavia non in pianura. Sono terreni
in pendio con sorgenti d'acqua nei pressi e la collocazione dell'industria
per la molitura delle olive (frantoi o montani) in prossimità
dei luoghi di produzione. Si contano in questo arco spaziale resti
o persistenze di alcuni montani.
Una terza località merita particolare attenzione: è
il complesso della fontana e chiesa della Madonna della Palomba,
confinante con la Rava Palombara. Questa zona racchiude a semicerchio,
a partire dai monti, le spalle ed il fianco, lato Maranola, di
Castellonorato.
Nel 1076 (C.D.C., II, CCL) Leontace e Rosa avevano venduto ai
coniugi Mirando e Matrona la porzione di Campo Lungo dalla parte
della Palombara con la spalla del monte fino al muro detto Porta
d'oro. L'atto era stato redatto dal diacono e scriba Marino. I
curatori del Codex erano incerti se Palombara si dovesse identificare
proprio con il toponimo nel territorio di Castellonorato.
L'inventario del 1767 riporta il toponimo "Campolungo o Palombaro".
Si tratta di un terreno confinante con la via pubblica ed il terreno
denominato "Piloni", concesso in enfiteusi a Francisco
Mastantuono. "Palombaro" era descritto come confinante
con la strada pubblica, il parco della chiesa, il casale diruto
di Palombaro e le mura della chiesa di Palombaro. Assegnato in
enfiteusi era comprensivo di cinque frazioni: Erto degli Piloni,
Strammariccio, L'aria antica di Palombaro, La Badia, Alla Grotta.
Campolungo è presso la Palombara nei pressi della fonte
della Madonna della Palomba. Attualmente Campolungo è separato
dalla fontana della Palomba dalla sede della strada provinciale
Maranola-Castellonorato, creata su un tracciato più antico.
Nel 1236 (C.D.C., II, CCCXCIV) una pergamena rogata nel castro
di Maranola richiama la chiesa e la Fons Palombari. Anche qui
va notata la non casuale presenza di una fonte, ancor oggi utilizzata.
Il titolo della chiesa "Madonna della Palomba" deriverebbe
dal nome di un imenottero notturno, la Falena (Magroglossa stellatarum),
in dialetto "Palummo santo" o Spirito Santo. Negli Statuti
di Maranola la fontana è chiamata di "Palummaro".
Il "Palummo santo" porta buone notizie e per questo
non deve essere ucciso né molestato. La forma della farfalla
richiama la colomba, simbolo dello Spirito Santo. L'insetto acquistava
così metaforicamente un carattere sacrale.
Ma questa nota, desunta dalle tradizioni aurunche studiate da
N. Borrelli, si scontrerebbe con il dato rilevabile dall'Inventarium
Honorati Gaytani per il quale il toponimo è attinente alla
riserva di caccia dei palombi (colombi). Questo territorio feudale
dei Caetani già tempo addietro luogo di allevamento dei
colombi, di conseguenza, avrebbe dato origine al titolo della
chiesa in età più antica.
Nella relazione del 1928 il binomio Palomba-Colomba apparve agli
occhi del parroco di Castellonorato la spiegazione più
convincente per chiarire l'origine del titolo della chiesa.
La chiesa è antecedente al 1236, anno che costituisce,
pertanto, il termine post quem non per la datazione della sua
edificazione. Recenti radicali lavori di restauro, per lo stato
di fatiscenza di alcune strutture, hanno fatto perdere la possibilità
di studiare l'originaria tessitura delle mura per ricavare preziose
informazioni sulle sue origini.
I territori di Casatico, Orsano, Palombara (tra XI e XIII secolo)
con i rispettivi casali ospitarono insediamenti già in
età ducale e vennero così stabilmente occupati ancor
prima della fortificazione del borgo di Castellonorato. Tali strutture
demiche si collocano ad occidente ed alle spalle del fortilizio
e fungono da corona al monte sul quale venne costruito Castellonorato.
Apparirebbe consequenziale che, sul modello di numerosi esempi
medievali, anche lì potesse essere sorta almeno una comunità.
Ma la famiglia dei Docibile non ritenne opportuno edificare un
castello sul monte Calvario, così come aveva realizzato
nelle contee di Fondi, Traetto, Castro d'Argento e con i castelli
di Itri, Maranola, Spigno, Suio. Probabilmente l'esiguità
dell'abitato sconsigliava un ulteriore frazionamento del territorio.
Tra l'altro in pieno medioevo i tre casali di Orsano, Casatico
e Palombaro costituivano il nerbo produttivo dell'economia agraria.
I casali ricadevano nel Formianum, porzione del Patrimonium Beati
Petri almeno fino al 915. Poi passarono alle dipendenze del ducato
di Gaeta retto dai Docibile. Con la crisi del ducato almeno una
porzione dei casali gravitò sotto il cenobio di S. Erasmo
di Castellone negli anni 1365 (RdC, 93) e 1402 (RdC, 111) a completamento
della vasta espansione del monastero sul territorio formiano,
iniziata già a partire dall'XI secolo fin ad includere
le zone prossime al Garigliano e nel Mondragonese.
Parti più piccole di questi territori nel momento del progressivo
decadimento del cenobio castellonese scivolarono nelle mani della
chiesa del Carmine, così come attestato dall'Inventario
del 1737. Era inevitabile che al declino del cenobio corrispondesse
l'ascesa dell'altro luogo di culto; l'uno chiuso in una visione
economica e sociale superata, l'uno vicino agli interessi ed edificato
per volere della nuova borghesia castellonese.
Nel quadro delle vicende del primo quarto del XIV secolo i Caetani
rimasero sostanzialmente estranei alle problematiche di Castellonorato.
Il territorio di quello che diventò universitas di Castellonorato
venne conquistato tra il 1345 e 1347 dal conte Niccolò
Caetani insieme a Sessa, Mola, Castellammare di Stabia, Maranola
e Traetto. Il tentativo del conte di occupare Gaeta tra il 1346
e il 1347 si scontrò con la tenace difesa della città.
Dopo le tensioni militari con le terre di Itri e Traetto e con
il cenobio di S. Erasmo e feudo di Castellone, puniti per aver
dato sostegno alla regina Giovanna I, il conte e la città
di Gaeta si accordarono per una duratura coesistenza.
Onorato I Caetani, successore di Niccolò, ampliò
i possedimenti della propria famiglia fino a racchiudere un territorio
compreso tra i colli Albani ed il Garigliano, includendo finanche
le terre di Falvaterra ed Anagni.
Dopo la ristrutturazione del Castellone tradizionalmente collocata
nel 1377, passò alla fortificazione di Maranola e Castellonorato,
che in breve furono turriti.
Il termine Castellonorato (castrum Honorati) si riferisce con
chiara evidenza ad Onorato Caetani: è certo che prima della
seconda metà del secolo XIV questo termine è sconosciuto.
Onorato I si distinse per il suo carattere forte e audace è
ricordato per la vicenda che lo oppose a papa Urbano VI. Lo scisma,
iniziato con l'incoronazione dell'antipapa Clemente VII nella
chiesa di S. Pietro in Fondi, segnò anche la rottura interna
alla famiglia Caetani tra parenti fautori dell'antipapa e quelli
fedeli alla cattedra romana.
Alla scomunica di Urbano VI seguì quella del successore
Bonifacio IX. Nel 1417 l'elezione di Martino V pose fine allo
scisma, ma Onorato I, sconfitto dal fratello di Bonifacio IX,
era già morto il 20 aprile del 1400 dopo la pronuncia di
un solenne atto di sottomissione al pontefice.
Ladislao, re di Napoli, nella nuova situazione assediò
Maranola e Castellonorato, che si arresero ed ottennero il perdono
del sovrano. Anche la figlia di Onorato, Jacobella, si arrese:
venne così stipulato un trattato nel quale si stabilivano
i diritti dei Caetani sui feudi, tra cui Castellonorato.
Il nuovo conte Giacomo Caetani divise i possedimenti in due porzioni:
Campagna e Marittima con capoluogo Sermoneta ed i feudi del Regno
di Napoli con capoluogo Fondi. Ciò per evitare la soggezione
contemporanea di un solo Caetani sia al re di Napoli che al Papato.
Ma i Caetani nel conflitto che vide contrapporsi Ladislao e la
Chiesa si opposero al re, per cui vennero esclusi dal potere sulla
contea di Fondi. Tuttavia prima di morire Ladislao li riammise
nel possesso, dopo aver dato vita feroce repressione anti baronale
in tutto il Regno.
In quel frangente Gaeta approfittò per conquistare le terre
che da Maranola conducevano al Garigliano. Cristoforo Caetani
dichiarò guerra a Gaeta ed il conflitto si protrasse intervallato
da tregue, l'ultima delle quali fissata il 21 febbraio 1419 con
il consenso della regina Giovanna II.
In questo modo ebbe fine il momentaneo possesso di Pietro Origlia,
conte di Caiazzo, al quale Ladislao, fratello di Giovanna II,
aveva venduto Castellonorato e Maranola. Ma i Caetani riebbero
per poco le due terre, occupate dal re Alfonso d'Aragona nel 1423.
L'anno successivo Gaeta fu ripresa grazie anche all'intervento
di Cristoforo; e Giovanna II il 30 maggio 1424 sancì il
rinnovo del possesso dei due castelli e della bastia del Garigliano
ai Caetani.
Onorato II, figlio di Cristoforo morto nel 1441, dopo l'occupazione
del Regno da parte di Alfonso di Aragona ebbe la conferma della
contea di Fondi.
Nel 1466 il casato dei Caetani per i servizi resi alla corona
poté fregiarsi del cognome d'Aragona e delle armi spagnole
sullo stemma di famiglia. Onorato II fu accorto ed attivo mecenate
e, dopo un'intensa presenza su tutto il territorio del ducato
e nell'amministrazione del Regno come logoteta e protonotario,
si spense nel 1491.
Sotto Onorato II venne compilato il catasto di Castellonorato
del 1479, nel quale ricorrono alcuni toponimi più antichi,
quali i citati Logorsano e Palombaro.
La terra di Castellonorato era stata già divisa da Maranola
nel 1428 per complessivo un quarto del territorio originario,
così come si evince da un rogito del 1690. Amministrativamente
così dovette aver inizio una nuova università dotata
di autonoma struttura. Sul modello di altre terre e città
conquistate dai Caetani molto presto dovettero essere concessi
gli statuti alle universitates civium sul modello di quanto accadde
a Sermoneta. Anche Maranola e Castellonorato ebbero propri statuti.
In particolare lo statuto di Maranola, pur redatto in una copia
paleograficamente riconducibile alla seconda metà del XVII
secolo, risale ad un periodo anteriore, probabilmente al sec.
XV.
L'estensore aveva frequentato la bottega del notaio Domenico Buosso
di Gaeta, figlio del notar Francesco, che esercitò per
conto del Capitolo della Cattedrale di Gaeta tra il 1660 ed il
1696. L'amanuense lasciò tyraccia anche presso altre botteghe
notarili.
Secondo il Besta lo statuto di Castellonorato è databile
al 1503 (Storia del diritto italiano, I, p. 656). Lo statuto venne
visionato da A. De Santis nella biblioteca di mons. Salvatore
Leccese di Gaeta. Si trattava di una copia del 22 luglio 1873
estratta da un'altra copia del 1796 del notar Rocco Cardillo.
Quella copia si conservava nell'archivio dell'università
di Castellonorato.
Nel protocollo vi è segnalata la data 4 ottobre 1507, IX
indizione. Nella narratio si ricorda la controversia sui confini
tra le due università di Maranola e Castellonorato, dopo
la divisione del 1428. L'atto di concordia era stato sottoscritto
da Isabella Colonna Gonzaga.
Nello Statuto venivano delineati i confini dell'università
di Castellonorato. L'indice degli Statuti veniva preceduto da
un'ulteriore sottoscrizione di conferma data in Fondi da Prospero
Colonna e Isabella Colonna Gonzaga il 16 aprile 1508.
Nel 1447 il censimento (fonti aragonesi) attribuiva a Castellonorato
83 fuochi vale a dire circa 415 abitanti.
Il Liber focorum regni Neapolis (censimento effettuato tra 1449
e 1456), compilato nel XV secolo, assegnava a Castellonorato nel
comitato di Fondi fuochi 76 ed il pagamento di una tassa di 2
once e 10 tarì in quanto università a sè.
L'università di Castellonorato aveva pure una curia per
l'amministrazione della giustizia. Nella chiesa di S. Caterina
è ancora conservato il seggio ligneo.
Se si considera che Castellone e Mola nel 1458 avevano rispettivamente
fuochi 117 e 63, vale a dire abitanti 585 e 315 circa, i 76 fuochi
di Castellonorato corrispondevano a circa 380 persone. Si trattava,
pertanto, di un agglomerato di tutto rispetto se confrontato con
gli altri borghi insistenti nel territorio dell'antico ducato
di Gaeta.
La contea di Fondi e così anche l'universitas civium di
Castellonorato passarono il 20 maggio 1497 a Prospero Colonna.
Le attività produttive di Castellonorato si basavano essenzialmente
sulla coltivazione dell'ulivo e sulla produzione di uva da vino.
Si può notare dai pochi documenti superstiti una forte
frammentazione della proprietà terriera.
Di un certo rilievo appariva l'attività legata all'allevamento
ed alla pastorizia con ampie zone a pascolo sui versanti di Spigno
ed Esperia, lungo la dorsale aurunca. Gli statuti di Maranola
e Castellonorato ricordano le norme circa la custodia e macellazione
di bovini, suini ed ovini. Non dovevano mancare allevamenti di
cavalli per la cospicua presenza di carrubeti. D'altronde i casali
si configuravano quali aziende agricole con parti dedicate all'allevamento.
La realtà boschiva veniva rappresentata ampiamente dalle
piantagioni di querce (da cui il toponimo Cerqueto), roverelle,
olmi, sorbi...
Le zone fertili terrazzate erano situate lungo la fascia pedemontana
a ridosso delle sorgenti, che favorivano l'attività dei
frantoi e molini piuttosto numerosi in relazione alla superficie
del territorio. Nella zona a valle (Penitro) per il terreno fortemente
argilloso vi doveva essere un'ampia stagnazione di acque
Nei pressi di Trivio dove si trovava una caldana con effervescenza
di acqua calda.
La distribuzione degli insediamenti abitativi ancora nel XVIII
secolo vedeva l'esistenza di numerosi casali, che sembrerebbero,
almeno per una parte, coincidere con insediamenti medievali tipici
su strutture abitative rurali più antiche.
I Formiami colles, richiamati più volte negli studi sulla
realtà medievale formiana e sulle vicende del ducato di
Gaeta tra IX e XI secolo, per gran parte nel tenimento di Castellonorato
non furono mai abbandonati, ma senza soluzione di continuità
rimasero abitati, con più o meno valida attività
umana. Cosicché dall'età pre romana sino ai nostri
giorni in questo territorio orientale dell'antica Formia, l'uomo
ha lasciato segni della sua presenza medievale, anche se oggi
si rischia di perdere la leggibilità di alcune rilevanti
sequenze archeologiche degli insediamenti.
Il
saggio di R. Frecentese è tratto da "Storia di Formia
illustrata (a cura di M. D'Onofrio). Vol. II: Età medievale".
Sellino editore, Pratola sannita, 2000, pp.117-133.
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